10.11.2024 - 21.12.2024
Ken Damy, fotografo e raffinato grafico, ha sempre coltivato nei decenni un atteggiamento da artigiano sperimentatore delle potenzialità di tutte le fotocamere, degli obbiettivi, delle pellicole, della stampa, delle commistioni di linguaggi (certo uso della fotocopiatrice, ad esempio). E ha sempre ribadito che la macchina fotografica è un mezzo di formatività elastica così come le nuove tecnologie digitali.
(...) Sono passati molti anni da quando Ken Damy scattava istantanee ai camion in transito, o migliaia di diapositive ai cieli incombenti sull'orizzonte, o semplicemente alla strada davanti al parabrezza, mentre viaggiava in macchina.
Frammenti, istanti di viaggio che, più che fissare le coordinate mobili di un avventuroso nomadismo "on the road" alla Kerouak, segnalavano invece l'accantonamento della foto documentaria per una riflessione linguistica sul mezzo fotografico chiamato a sondare una trama di realtà anche nella successione di incroci quotidiani occasionali, banalissimi e fugaci.
Il nostro tempo è caratterizzato da un continuo affollarsi e incrociarsi di immagini, l'una che scaccia l'altra, ma l'occhio vede solo quello che è preparato a vedere, e quel che vede meno è proprio quello che gli passa accanto abitualmente.
Emergeva già allora una pratica diventata comune a tanti artisti del nostro tempo dopo la perdita del centro: l'attraversamento della precarietà e dell'effimero, gettando una rete per catturare indizi minimi di verità.
Contro la voglia dogmatica di certezza e verità subito, tutta intera, il fotografo proponeva anche questa marginalità come ricchezza, come scrittura dell'esperienza che nel suo scorrimento ricomponesse una somma di destini, in un mondo in cui si sono perse le istruzioni per l'uso.
Se batteva la strada dell'aperto, dell'indeterminato, del probabile, non cercava di sicuro la bella fotografia fine a sé stessa, consapevole che il bello non è un'unità campione: costruiva materiali per un discorso sulla comunicazione visiva.
La fotografia è una superficie che non potremo mai attraversare, ma muove, come nel termine istantanea, da un'analogia con un istante di vita.
Fausto Lorenzi