8090
a cura di Carlotta Clerici

 

Anthony Aziz + Sammy Cucher | John Baldessari | Maurizio Cattelan | Guglielmo Achille Cavellini | Dinos & Jake Chapman | Tony Cragg | Antonio Dias | Jan Fabre | Antonio Faggiano | Robert Gligorov | Francesco La Fosca | Robert Longo | Philip Lorca di Corcia | Robert Mapplethorpe | Eliseo Mattiacci | Takashi Murakami | Dennis Oppenheim | Nam June Paik | Claudio Parmiggiani | Martin Parr | Thomas Ruff | Andres Serrano | Hung Tung-Lu | Jan Vercruysse

15.05______28.06.2025

La fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta segnano un momento di transizione fondamentale per l’arte contemporanea. Dopo un ventennio caratterizzato da un’intensa proliferazione di movimenti e gruppi - dalla Minimal alla Land Art, dall’Arte Povera alla Body Art - si giunge a un punto di rottura: diventa necessario scalzare queste tendenze per dare vita a nuove avanguardie, figlie di una nuova modernità in rapida trasformazione.

Le ricerche sullo spazio, sulla materia e sulla percezione, tipiche dell’Arte Povera, vengono progressivamente superate a favore di nuove estetiche influenzate dai nuovi media, dalla cultura pop e da una crescente globalizzazione della comunicazione visiva.

Ma non si tratta solo di arte. Questi anni sono attraversati anche da tensioni sociali e politiche profonde, che alimentano un diffuso senso di disincanto e disillusione. L’arte risponde a questo vuoto con approcci diversi, in certi casi opposti: da un lato, opere eccentriche, colorate, ironiche e volutamente kitsch; dall’altro, pratiche concettuali più introspettive, che esplorano nuovi linguaggi, talvolta criticando i media emergenti, talvolta celebrandone le potenzialità espressive.

In questo scenario viene meno il collettivismo tipico dell’arte fino a quel momento. Le grandi tendenze si dissolvono, lasciando spazio a una pluralità di linguaggi individuali e soggettivi.

La mostra 8090, attraverso una selezione di opere provenienti dalla Raccolta dei Campiani, presenta alcuni degli artisti che hanno attraversato questa trasformazione, rivelando un dialogo - a tratti armonico, a tratti conflittuale - tra le pratiche artistiche tradizionali e le nuove sensibilità legate all’avvento del digitale e generate dalla rivoluzione culturale in atto.

Proseguendo la narrazione avviata nel 2023 con l’esposizione curata da Piero Cavellini, una parte delle opere in mostra vuole riconoscere l’importanza che l’Arte Povera e il minimalismo hanno avuto nel plasmare la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, tanto nel panorama artistico internazionale quanto nella formazione della Collezione di Carlo Clerici.

Artisti come Claudio Parmiggiani, Eliseo Mattiacci, Antonio Faggiano, ma anche Francesco La Fosca, Jan Vercruysse, Tony Cragg e Dennis Oppenheim, pur superando le suddette avanguardie, ne ereditano una sensibilità per la materia, intesa non solo come supporto ma come veicolo di senso. Esplorano forme organiche, fragili e simboliche, attraverso un linguaggio che mantiene un legame profondo con la spiritualità, il silenzio e la trasformazione. 

Parallelamente, 8090 presenta artisti che riflettono in modo più esplicito sul crescente dominio dei media, della cultura pop e del kitsch nella società globalizzata: chi appropriandosi e riproducendo immagini per decostruire le logiche della comunicazione - vedi John Baldessari, ma anche Antonio Dias e, a suo modo, Guglielmo Achille Cavellini; chi invece utilizzando l’ironia e la saturazione visiva, come Martin Parr, Robert Gligorov, Robert Longo, Hung Tung-Lu e Takashi Murakami.

A questo “gruppo” si affiancano artisti che fanno, invece, dell’ironia uno strumento più marcatamente dissacrante volto a criticare il sistema dell’arte: è il caso di Maurizio Cattelan e del duo Dinos & Jake Chapman, i quali operano con gesti irriverenti e provocatori, capaci di scardinare i codici tradizionali dell’opera e il ruolo dell’artista.

A completare questo panorama di linguaggi e attitudini affermatosi tra gli anni Ottanta e Novanta, troviamo una serie di artisti che incentra la propria ricerca sul corpo. In mostra le fotografie di Robert Mapplethorpe, Andres Serrano, Philip Lorca di Corcia, Anthony Aziz e Thomas Ruff, ne sono un chiaro esempio. Spazio politico, intimo e simbolico, da un lato il corpo diventa soggetto e oggetto dell’opera, dall’altro si carica di nuovi significati legati all’esplorazione dell’identità e alla rappresentazione del sé, sia in un senso di libertà sessuale ed espressiva, sia nella tensione tra sacro e profano.

Vicini ad altri in termini di estetica, ma più individualisti per quanto riguarda la ricerca, sono i lavori di Jan Fabre e Nam June Paik. Il primo ricerca nelle proprie opere un ideale