Vanessa Beecroft | Liu Bolin | Chiara Fumai | Regina Josè Galindo | Eikoh Hosoe | Urs Lüthi | Ketty La Rocca | Yasumasa Morimura | Luigi Ontani | ORLAN | Gina Pane | Rudolf Schwarzkogler | Cindy Sherman
OPERE DALLA COLLEZIONE DI PAOLO CLERICI E LA RACCOLTA DEI CAMPIANI
A CURA DI CARLOTTA CLERICI
DAL 2 MAGGIO AL 29 GIUGNO 2024
Navigando nel complesso territorio di identità, rappresentazione e visibilità, questa mostra vuole testimoniare il potere provocatorio, ispirazionale e illuminante della performance art.
In un mondo carico di disuguaglianze e divisioni socio-politiche, il lavoro degli artisti esposti indaga le implicazioni etiche di questi soprusi utilizzando il proprio corpo come luogo di resistenza, resilienza e autodeterminazione radicale, ma anche di esplorazione spirituale.
Nel cuore di molte pratiche performative giace una forte relazione con la politica e l’attivismo. Gli artisti utilizzano il proprio corpo come mezzo artistico dove, e attraverso il quale, confrontarsi con le ingiustizie sistemiche e farsi portavoce delle comunità marginalizzate. L’affidabilità e la disponibilità immediata del corpo lo rendono il mezzo espressivo ideale per comunicare con urgenza il proprio malessere.
Attraverso una moltitudine di pratiche, gli artisti in mostra si interrogano sul punto d’incontro tra potere, identità e corpo. Sfidando le convinzioni, infrangendo i tabù, oltrepassando le barriere identitarie ed esplorando il rapporto tra realtà e finzione, tra oggetto e soggetto, invitano lo spettatore a confrontarsi con la complessità dell’esperienza umana.
Le pratiche utilizzate vanno dal travestimento all’autolesionismo, fino alla mutazione dei connotati, ma si tratta sempre di interventi di resistenza, reinvenzione e riappropriazione del sé. Le performance esprimono l’esperienza personale e collettiva mettendo in discussione i propri preconcetti e, al tempo stesso, sono un punto di partenza per relazionarsi all’arte in quanto stimolo per il cambiamento sociale e per la trasformazione personale.
Ricorrere all’atto dell’autolesionismo, ad esempio, diventa, per alcuni degli artisti in mostra, una forma radicale di questa espressione e trasformazione personale: è una ribellione contro le norme sociali. Rivendicando il controllo sul proprio corpo, questi artisti sfidano la concezione comune di bellezza, perfezione e conformismo. Abbracciando le proprie cicatrici e imperfezioni cancellano ideali e stereotipi e accolgono la propria diversità come simbolo di resilienza e sopravvivenza.
In performance in bilico tra dolore e piacere, artisti come Gina Pane, Rudolf Schwarzkogler, ma anche ORLAN, mettono in atto le realtà viscerali dell’esperienza umana, promuovendo empatie e comprensione in sostituzione a giudizio e stigma. “Vivere il proprio corpo…significa prendere coscienza dei propri fantasmi che non sono nient’altro che il riflesso dei miti creati dalla società.” (G. Pane)
Che si tratti di gesti estremi, di immaginari sovversivi o di interventi collaborativi, tutte le opere esposte si fanno portavoce di chi è stato zittito nel corso della storia. Attraverso i propri interventi, questi artisti vogliono provocare lo spettatore spingendolo a confrontarsi con la propria complicità all’interno dei sistemi di oppressione e, contemporaneamente, ad immaginarsi un futuro alternativo basato su uguaglianza e giustizia.
La fotografia è da tempo riconosciuta come il mezzo più potente per la documentazione della natura effimera e transitoria della performance e della body art. Queste due espressioni artistiche, infatti, si sviluppano in tempo reale: il corpo è la tela, l’attimo è il mezzo.
La fotografia svolge un ruolo cruciale nell’immortalare e preservare questi momenti fugaci, e si fa strumento dell’espressione creativa. Come espresso da Eikoh Hosoe “la fotografia è sia testimonianza che uno specchio e una finestra dell’auto-espressione. Crediamo che la fotocamera non sia in grado di rappresentare ciò che non è visibile all’occhio, eppure il fotografo che guarda bene può raffigurare ciò che rimane invisibile nella sua memoria.”
Catturando l’essenza di queste pratiche effimere, quindi, i fotografi contribuiscono al ricco quadro che è il dialogo artistico, assicurandosi che l’eredità della performance sia tramandata alle generazioni future, ma non solo. L’intersezione tra fotografia e performance dà vita a una varietà di esplorazioni visuali che creano nuove dimensioni espressive e interpretative. La fotografia non è solo un mezzo per catalogare e archiviare, ma è parte integrante dell’opera performativa nella totalità della sua concezione.
Basti pensare ai lavori di Cindy Sherman, Luigi Ontani o Urs Luthi, dove senza l’ausilio del mezzo fotografico, la performance nemmeno esisterebbe, in quanto le loro azioni vengono svolte in ambienti privati. In questi come in altri casi, la fotografia è complemento indispensabile alla performance: una chiave da consegnare nelle mani dello spettatore.
Il compito della fotografia in relazione alle azioni performative è anche quello di mediatrice tra artista e audience. Per mezzo della lente fotografica è possibile fornire al pubblico prospettive uniche e inaspettate, talvolta impercettibili da un’osservazione ad occhio nudo. Questo fa sì che lo spettatore possa apprezzare le diverse nuances della performance, superando i limiti dell’esperienza dal vivo.
Molti performer, infatti, collaborano a stretto contatto con i fotografi per esplorare metodi innovativi nella cattura del movimento e della forma. Sperimentando con composizione, luce e post-produzione, i fotografi possono infondere nelle immagini un senso di dinamismo ed emozione, potenziando l’esperienza dello spettatore e l’interpretazione stessa dell’opera.
La selezione di lavori in mostra indaga sulle molte sfaccettature della relazione tra questi due mezzi artistici, presentando il lavoro di artisti il cui contributo ha rivoluzionato la concezione dell’immagine performativa.
Dagli autoritratti delle messe in scena di Yasumasa Morimura alle inquietanti manipolazioni corporee di Rudolf Schwarzkogler, ognuno degli artisti esposti offre una prospettiva unica sul potere trasformativo della fotografia all’interno del regno della performance. Il loro approccio innovativo alla realizzazione delle immagini e all’espressione del sé amplia i confini di entrambi i mezzi, stimolando lo spettatore a mettere in discussione i propri preconcetti e a vivere l’arte in un modo nuovo e travolgente.
Carlotta Clerici