il collezionista e la collezione. parte seconda

a cura di Ken Damy

 

17 novembre 2018 - 22 dicembre 2018

“Il collezionista e la collezione – parte seconda” presenta una vasta selezione di immagini dagli anni ’20 aggli anni ’80 di fotografi tra i più significativi nel panorama internazionale, tra cui Henri Cartier-Bresson, Shoji Ueda e il bresciano Gian Butturini, accanto a Edward Weston, che ritrae l’amata Tina Modotti.
“Anni Settanta” al Visual Art propone fotografie dei grandi maestri dell’arte realizzate in quegli anni da Ken Damy nella galleria di via Fratelli Bandiera di Piero Cavellini, alla biennale di Venezia del ’78 o ai Campiani, museo all’aria aperta di Carlo Clerici.
Per l’occasione si terrà la presentazione dell’ultimo libro di Piero Cavellini “Cronache di un osservatore dell’arte” (Collana spazio contemporanea, Magalini Editrice Due, 2018)

Piero Cavellini pubblicò nel 1973 il primo libro opera con Giuseppe Chiari, artista Fluxus, avviando le Edizioni Nuovi Strumenti, e nel febbraio 1974 inaugurò una galleria in via Fratelli Bandiera al Carmine con Claudio Pariggiani. Un cortile interno, niente vetrine: un laboratorio di ricerca.
Ora Cavellini ripercorre l’avventura di esploratore dell’arte in un libro che è un misto di cronaca di stagioni, luoghi, incontri, autobiografia e mitobiografia, epistolario ideale con gli artisti con cui condivise incontri rivelatori o lunghe sintonie: quindi bilancio di un’esperienza che non ha mai scisso arte e vita, ma altrettanto repertorio cronologico delle centinaia di mostre negli spazi aperti tra Brescia, la Franciacorta, Milano, il Garda, e catalogo delle edizioni Nuovi Strumenti e dei propri scritti.
Il libro “Cronache di un osservatore dell’arte” è edito da Spazio Contemporanea di Carlo Clerici, l’amico collezionista con cui ha collaborato nei decenni, dal 1977, alla Raccolta dei Campiani, il parco di agri-scultureche istituiscono segni d’incontro tra le radici del luogo e la cultura contemporanea, con gli autori che accolgono nelle loro forme anche le energie che strutturano il contesto forgiato nei secoli.
Piero, formatosi sociologo a Trento, ha collaborato negli anni settanta con artisti quali De Dominicis, Parmiggiani (che gli aprì una via Emilia dell’arte, con Calzolari, ghirri, Guerzoni, Vaccari, Benati), i protagonisti dell’Arte Povera incontrati nella comunità radunata nell’atelier di Zorio in via Riberti a Torino (Zorio, Anselmo, Penone, Mario e Marisa Merz, Boetti, poi Mainolfi, Mattiacci, Fabro, Spagnulo, Mauri…) per recuperare poi maestri della generazione precedente del movimento Fluxus che voleva scorrere ovunque negli spazi quotidiani (Vostello, Vautier, Nam June Paik, Arman, Spoerri, Higgins) o di antesignani dell’arte visuale come Morellet, o di sperimentatori dell’uso del mezzo fotografico nell’arte, in primis Man Ray, a intendere la fotografia nella sua casualità dadaista e nel flusso accelerato del processo di comunicazione.

Cavellini racconta di come abbia cercato di aprire ai linguaggi più liberi del tempo, senza mai credere al postmoderno: a Brescia; poi nell’esperienza di gallersita a Milano, da via Solferino a via Maroncelli, da via Ariberto a via Brera, promuovendo altri artisti che non si omologassero (Ketty La Rocca, Faggiano, Nagasawa, Trotta, La Fosca, Wolf, Barone, Caropreso…); di nuovo a Brescia dal 1989, in via Gramsci, in piazza Tebaldo Brusato, in via Guerini, non curandosi mai di avere un magazzino, cioè di sostenere il mercato, nè un programma che non fosse l’immersione nella mostra del singolo o nella costruzione dell’evento collettivo, in una ricerca di sguardi inediti (anche dall’Africa), di sbieco (“Rovesciare i propri occhi” intitolò una mostra di Penone, o di un’arte capace di modellare una comunità (nel 1980 espose “lavagne” di Joseph Beuys” e, con Progetto Utopia, assecondando iniziative di arte partecipativa e di creatività diffusa.