Così è la stirpe delle foglie

Alessio Barchitta | Marco Emmanuele | Oliviero Fiorenzi | Giulia Fumagalli | Silvia Inselvini
Alice Pedroletti | Marco Rossetti |Giovanni Stefano Rossi | Mattia Trotta | Nicola Zanni

 

A CURA DI ALICE VANGELISTI
DAL 15 MARZO AL 20 APRILE 2024

[…] sensibili alla tragicità del nostro destino, 
lasciamo che la vita ci invada 
con tutto il suo insondabile spessore, 
flusso di promesse sconosciute e 
di indicibili fonti di emozione.

Certi dell’incertezza voliamo instabili sulle ali oscure della nostra esistenza cercando di colmare l’infinita distanza tra cielo e terra, intrappolati inevitabilmente nel mezzo. Questa dimensione è capace però di lasciare un segno nei frammenti transitori della nostra memoria, facendoci interrogare allo stesso tempo sulla nostra identità e scrutare sempre più nel profondo. Così, accolti, avvolti e consapevoli della nostra fragilità, viviamo danzando sul confine di chi eravamo, chi siamo, chi saremo e chi vorremmo essere, e sospinti dal vento della vita ci lasciamo trascinare come leggere - e forse libere - foglie autunnali, sospese in questo spazio intermedio tra i confini dell’infinito e del finito.  

L’arte, effettivamente, si interroga - e soprattutto ci interroga - da sempre sulle fasi dell’esistenza, sul suo essere fugace in una dimensione iniziale di vuoto profondo che, forse, solo il tempo può colmare. Indugia così anche su una ricerca incessante di un altro e di un altrove per poi scoprire che essi vanno ricercati dentro di noi, in un respiro universale tra una presenza effimera e un’assenza assordante. Perché d’altronde, riprendendo uno dei frammenti dai Pensieri di Pascal, “siamo qualcosa, ma non siamo tutto”. E per riuscire a cogliere appieno questa tensione intrinseca della finitezza umana dovremmo convertirci a una “vita contemplativa”, che, come sostiene Byung-Chul Han, ci permette di reimparare a soffermarci sulle piccole cose, in contrapposizione all’eccesso di stimoli tipici della società contemporanea, priva ormai di autenticità, segnata solo da velocità e superficialità. Ma se rallentiamo e attiviamo uno sguardo contemplativo riusciremo allora a restituire al tempo -  e potremmo aggiungere anche alla nostra vita - il suo “profumo”, che indugia nell’aria in un momento sospeso e denso di significato. Perché in fondo dobbiamo restituire senso - e allo stesso tempo consapevolezza - a questa nostra essenza transitoria.

 

Così è la stirpe delle foglie, così quella degli uomini: in questo passaggio dell’Iliade, Omero ci rivela effettivamente in maniera semplice ma significativa questa vulnerabilità e precarietà dell’essere umano che, come le foglie, può essere portato via improvvisamente dal vento, ricordandoci la ciclicità di queste stagioni brevi e transitorie, che ci fanno riflettere ancora una volta sulla condizione precaria di tutti noi, piccoli esseri di passaggio. Ma è proprio questa dimensione provvisoria che aggiunge senso alla nostra esistenza come una sfumatura di colore che rende ancora più significativi gli estremi. Così dovremmo lasciarci andare al flusso dell’universo, abbracciando la nostra natura effimera e precaria, accettandola come parte integrante dell’esistenza. Ed è proprio qui, “tra cielo e terra”, riprendendo il filosofo taoista Zhuang-zi, che “v’è grande bellezza”, data proprio dalla finitezza della nostra condizione, filo invisibile che ci lega agli altri esseri viventi e al cosmo stesso.

Proprio in questo spazio intermedio, tra l’esile attaccamento alla terra e la fascinazione per un cielo infinito, sullo sfondo del blu intenso ed enigmatico dei lavori di Silvia Inselvini, si posano le leggere sculture di Giulia Fumagalli, accompagnate nel loro volo dai magici aquiloni di Oliviero Fiorenzi, dai piccoli aerei di Giovanni Stefano Rossi e dalle delicate figure che appaiono e scompaiono di Nicola Zanni. Ma mentre guardiamo alla volta celeste, non possiamo dimenticarci di perderci anche nella finitezza terrena - che diventa allo stesso tempo infinità rispetto al nostro essere solo di passaggio. Così Marco Rossetti e Marco Emmanuele attraverso i loro lavori ci evocano paesaggi transitori e instabili, tutti da esplorare, vagando liberi tra realtà e artificio. Aprendoci così alla dimensione del viaggio, ecco che appare in questa narrazione l’installazione di Alessio Barchitta, memore di passaggi tra terre remote e luoghi dell’identità, che simbolicamente ci evocano il senso della condizione umana, cuore pulsante di vita, contaminata da tanti piccoli e potenzialmente infiniti frammenti - nostri e degli altri. Come quelli della narrazione-archivio di Alice Pedroletti, sintomo di una storia - la sua, ma come del resto anche la nostra - fatta di continue esperienze e memorie, scomposte e ricomposte. Ed ecco che allora le sculture di Mattia Trotta restano intrappolate così tragicamente in bilico tra un inno alla vita e una danza della morte. 

Riprendendo quindi questo aspetto di impermanenza, la condizione umana può così essere sintetizzata dal concetto giapponese del mono no aware. Esso afferma con decisione l’importanza del collocarsi qui e ora,  spingendoci a vivere l’istante e rendendo intrinsecamente significativo il poco tempo che abbiamo a disposizione. E così, parafrasando nuovamente Pascal, noi non siamo altro che semplici “punti medi tra il nulla e il tutto”, sospesi in un viaggio nell’eterno fluire del cosmo.

Alice Vangelisti